MISURAZIONE DEI CONSUMI TRAMITE CONTATORE - ONERE PROVA - SOMMINISTRAZIONE - Cassazione Civile ordinanza n. 19154 depositata il 19 luglio 2018

MISURAZIONE DEI CONSUMI TRAMITE CONTATORE - ONERE PROVA - SOMMINISTRAZIONE -  Cassazione Civile ordinanza n. 19154 depositata il 19 luglio 2018

In tema di contratti di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante, anche se convenuto in giudizio con azione di accertamento negativo del credito, l'onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l'eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un'attenta custodia dell'impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta - Presidente -

Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -

Dott. POSITANO Gabriele - Consigliere -

Dott. GUIZZI Stefano Giaime - Consigliere -

Dott. SAIJA Salvatore - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6824/2015 proposto da:

G. HOTELS SRL, in persona del suo Amministratore Unico, Dott. G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. FRIGGERI 82, presso lo studio dell'avvocato MARIO FIANDANESE, rappresentata e difesa dall'avvocato FRANCO DORE giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

COMUNE ALGHERO, in persona del Sindaco in carica suo legale rappresentante pro tempore, Dott. B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 7, presso lo studio dell'avvocato CONCETTA TROVATO, rappresentato e difeso dall'avvocato GIUSEPPE MANNI giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

10 avverso la sentenza n. 53/2014 della CORTE D'APPELLO SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 08/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/03/2018 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 14.2.2003, la società Carlos V 88 s.r.l., proprietaria dell'Hotel Carlos V in (OMISSIS), convenne in giudizio il Comune di Alghero, contestando le pretese dell'ente per corrispettivo di somministrazione di acqua - riportate in una diffida stragiudiziale e in successive fatture, tutte recapitate nel 2002 - per gli anni dal 1994 al 1997 e dal 1999 al 2000, per complessivi Euro 69.090,00. L'attrice dedusse che le pretese erano erronee, anche a causa dell'inesatto adempimento dell'ente, giacchè l'erogazione del servizio era discontinua e inidonea a garantire le proprie esigenze (tanto che era stato necessario dotarsi di cisterna, con sistema di sollevamento dell'acqua ai piani alti); il sistema di misurazione non era a norma di legge in quanto privo di valvola di sfiato; una gran quantità di acqua (pari al 40%) andava dispersa nella vetusta rete, con costi ripartiti tra tutti gli utenti, compresa essa attrice; non erano mai stati definiti standard di qualità generali e specifici; le tariffe erano state adottate dalla Giunta Municipale e non, invece, dal Consiglio Comunale; il Comune aveva comunque contabilizzato, per taluni periodi, consumi presunti e non effettivi; eccepiva, infine, la prescrizione quinquennale, ex art. 2948 c.c., n. 4, per i crediti vantati fino al 1997. Concludeva in conformità, chiedendo in particolare accertarsi la misura del corrispettivo dovuto per i consumi effettivi e previa disapplicazione delle delibere tariffarie illegittime, con riduzione dello stesso corrispettivo, a titolo risarcitorio o indennitario, per l'inesatto adempimento del fornitore, anche in via equitativa, con condanna del Comune al risarcimento del danno emergente per gli esborsi per la cisterna e l'impianto di sollevamento, nonchè alla restituzione di quanto eventualmente pagato in più.

Nel contraddittorio col Comune, il Tribunale di Sassari, sez. dist. di Alghero, i rigettò la domanda attrice con sentenza del 22.1.2009. La società G. Hotels s.r.l., incorporante la Carlos V 88 s.r.l., impugnò detta sentenza, ma la Corte d'appello di Cagliari, Sez. dist. di Sassari, lo respinse con decisione del 8.2.2014.

G. Hotels s.r.l. ricorre ora per cassazione, affidandosi ad almeno due motivi, cui resiste con controricorso il Comune di Alghero.

Motivi della decisione

1.1 - Con il primo motivo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, si deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia su domanda, nonchè violazione o mancata applicazione del D.P.C.M. 27 gennaio 1994 e D.P.C.M. 29 aprile 1999. La società ricorrente rileva come la Corte sarda abbia del tutto obliterato l'esame della domanda diretta alla rideterminazione del corrispettivo del servizio anche per gli anni 1997, 1999 e 2000. L'omissione risulterebbe palese, laddove la Corte individua la fonte della disciplina del rapporto obbligatorio nel regolamento comunale del 24.5.1983 proprio perchè "i consumi contestati sono relativi agli anni 1994/1996", ed è confermata da altra parte della motivazione, concernente l'eccezione di prescrizione, ove si afferma che "...nessuna prescrizione può pertanto ritenersi intervenuta per il pagamento dei consumi del periodo dall'1-1-1994 al 23 maggio 1995 posto che i consumi del periodo andavano verificati con lettura del giugno 1994".

Così facendo, inoltre, la Corte non avrebbe tenuto conto non solo del nuovo regolamento comunale del 10.4.1998 (prodotto dal Comune in primo grado), ma anche della disciplina settoriale, ed in particolare della L. n. 36 del 1994, D.P.C.M. 27 gennaio 1994, L. n. 273 del 1995D.P.C.M. 4 marzo 1996 e del D.P.C.M. 29 aprile 1999 (schema generale di riferimento del servizio idrico integrato).

Infine, la Corte non avrebbe apprezzato, nella loro globalità, tutte le questioni inerenti il dedotto inesatto adempimento, laddove ha ritenuto che la contestazione sulla correttezza della contabilizzazione dei consumi fosse limitata alla sola mancanza della valvola di sfiato.

1.2.1 - Con il secondo motivo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 111 Cost., comma 6, artt. 112, 113, 115 e 191 c.p.c.artt. 1218, 1374, 1339 c.c.art. 1341 c.c., comma 2, artt. 2043, 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè D.P.C.M. 27 gennaio 1994, L. n. 273 del 1995D.P.C.M. 4 marzo 1996 e D.P.C.M. 29 aprile 1999; art. 5 L.A.C.; L. n. 142 del 1990, art. 32, lett. g). Nel rigettare il primo motivo d'appello, la Corte sarda ha ritenuto che, in mancanza di prova di specifiche pattuizioni, la disciplina del rapporto andasse rinvenuta esclusivamente nel regolamento comunale del 24.5.1983. La società ricorrente censura tale decisione sotto plurimi profili.

1.2.2 - Anzitutto, essa si duole del fatto che la decisione (oltre che essere frutto dell'omessa pronuncia di cui al motivo precedente) non tiene conto che il negozio inter partes è pur sempre di un contratto di somministrazione di natura privatistica, seppur di utenza pubblica: la circostanza che una delle parti sia un ente pubblico non implica che questa abbia il potere di autodeterminare la disciplina contrattuale, se non limitatamente ad alcuni aspetti (ad es., le tariffe), e nel rispetto di determinate procedure.

Pertanto, il giudice ha il potere-dovere di verificare la conformità dello schema contrattuale alle norme che disciplinano la sua predisposizione, e di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, nonchè di dichiarare la nullità o inefficacia delle clausole contra legem; inoltre, sia la genesi del rapporto che la sua esecuzione non possono che dipendere dal singolo contratto concluso, che deve essere conforme allo schema generale, che a sua volta deve rispettare la normativa primaria e secondaria.

Di tutto ciò, secondo la società ricorrente, non ha tenuto conto la Corte sassarese, laddove essa ha invece ritenuto che l'intera normativa speciale richiamata, anche secondaria, avesse un mero contenuto programmatico, la cui violazione non determina conseguenze risarcitorie in favore dell'utente.

Ancora, l'affermazione della sostanziale esenzione della P.A. dalle norme di cui agli artt. 1374, 1339 e 1341 c.c., sarebbe errata, oltre che in contrasto con i principi di uguaglianza, continuità, economicità, efficienza ed efficacia e di tutela dell'utente, emergenti dalla legislazione speciale e di carattere immediatamente cogente. Pertanto, affermare - come ha fatto la Corte - che non esiste alcun obbligo del Comune di erogare il servizio con continuità nell'arco della giornata e di assicurare una pressione adeguata del servizio stesso, anche nel rispetto degli standard di qualità e quantità indicati dalla citata normativa, significa disapplicare le norme che prevedono esattamente l'opposto. E ciò tanto più che il Comune non aveva dimostrato che le clausole di esonero da responsabilità disseminate nel citato regolamento erano state accettate dall'utente secondo quanto disposto dall'art. 1341 c.c..

1.2.3 - Con ulteriore censura - formalmente sempre nell'ambito del secondo motivo - la ricorrente lamenta l'erroneità della decisione per violazione della disciplina sull'onere della prova in materia contrattuale: essa ricorrente aveva allegato l'inesatto adempimento dell'ente, sicchè era onere di quest'ultimo dimostrare di avere esattamente adempiuto, in forza del principio della "vicinanza della prova". La Corte d'appello, invece, ha del tutto rovesciato il ragionamento, perchè, pur rilevando che: 1) vi era stata interruzione del servizio di erogazione; 2) la pressione di mandata era insufficiente; 3) mancavano le valvole di sfiato; 4) vi era una distorsione del calcolo dei consumi pari al 3-5%; 5) vi era una fessurazione della rete idrica tale da determinare la perdita del 40% di acqua, ha tuttavia escluso alcuna responsabilità del Comune, perchè gli artt. 5 e 44 del regolamento del 1983 non prevedevano la garanzia di continuità e di erogazione con pressione necessaria al raggiungimento dei piani alti. Nè, tantomeno, secondo la Corte, vi era alcuna certezza sul malfunzionamento del contatore idrico, sicchè doveva ritenersi che i consumi contabilizzati fossero quelli effettivi.

1.2.4 - Ancora, sotto altro profilo, si denuncia l'erroneo apprezzamento delle risultanze probatorie, asseritamente trascurate dal giudice d'appello.

1.2.5 - Infine, ulteriore censura riguarda la pretesa violazione dell'art. 1226 c.c., sulla valutazione equitativa del danno, consistente negli esborsi per l'acquisto della cisterna e dell'impianto di sollevamento.

2.1.1 - Il primo motivo non può trovare accoglimento.

Ha senz'altro errato la Corte territoriale nel momento in cui ha testualmente affermato che "i consumi contestati sono relativi agli anni 1994/1996" e non anche agli anni 1997, 1999 e 2000, come invece avrebbe dovuto, chiaramente obliterando, sul punto, la stessa ricostruzione delle vicende processuali riportate nella parte narrativa della sentenza impugnata. Tuttavia, gli argomenti spesi dalla Corte sono sostanzialmente sovrapponibili riguardo a tutte le contestazioni mosse dalla società con l'atto introduttivo - così come riprese nei motivi d'appello - per l'intero periodo sub iudice, fatta eccezione per la ritenuta mancata applicabilità del nuovo regolamento comunale del 1998. Detta ultima questione, però, è mal posta, perchè sul punto il Tribunale aveva considerato il regolamento del 1998 come sostanzialmente equipollente a quello del 1983 (ciò si evince dalla stessa sentenza impugnata, p. 4); tuttavia, la società non spiega, in ricorso, in cosa esso invece (ed in ipotesi) ne divergesse, così non consentendo a questa Corte di valutare la decisività della questione rispetto alla denunciata violazione dell'art. 112 c.p.c..

2.1.2 - Riguardo alla prescrizione quinquennale, occorre evidenziare che essa venne eccepita per i crediti maturati fino al 1997 ed il Tribunale la disattese, riscontrando la sussistenza di atti interruttivi della prescrizione sui quali nulla era stato dedotto dall'odierna ricorrente. Quest'ultima appellò anche sul punto la decisione; secondo la prospettazione contenuta nel ricorso in esame, la società rilevò che - trattandosi di somministrazione continuativa - il credito matura giorno per giorno, sicchè la prescrizione decorre con pari cadenza, donde l'erroneità (tout court) della prima decisione. La Corte d'appello, però, disattese la doglianza, osservando che, in forza delle previsioni dell'art. 19 del regolamento (e qui, certamente, l'unico possibile riferimento è a quello del 1983, giacchè il Regolamento del 1998 non è sul punto applicabile ratione temporis), il credito del somministrante è esigibile dal momento della lettura del contatore, che deve avvenire semestralmente. Sulla base di tale argomento, la Corte ha quindi affermato che "...nessuna prescrizione può pertanto ritenersi intervenuta per il pagamento dei consumi del periodo dall'1-1-1994 al 23 maggio 1995 posto che i consumi del periodo andavano verificati con lettura del giugno 1994".

Ora, la questione della prescrizione, a ben vedere, non è oggetto di specifica censura (sebbene la ricorrente, a p. 20 del ricorso, ne preannunci un più analitico successivo sviluppo, che però non è dato riscontrare nello stesso atto), ma viene indicata quale elemento dimostrativo dell'errore che la Corte d'appello avrebbe commesso nel valutare il complessivo periodo del rapporto oggetto di contestazione e, quindi, la denunciata omessa pronuncia.

L'assunto della società, in proposito, è tuttavia palesemente infondato. La Corte sassarese ha infatti descritto (v. p. 7) il contenuto del relativo motivo d'appello della società nel senso che con esso si deduceva l'erroneità della prima decisione non già in linea generale (come parrebbe doversi evincere dal ricorso, v. supra), ma limitatamente al periodo 1.1.1994-23.5.1994: secondo la società, l'eccezione di prescrizione doveva certamente ritenersi fondata riguardo a detto spazio temporale, avendo il Comune richiesto il pagamento del corrispettivo solo con lettera del 24.5.1999. Il giudice d'appello ha poi coerentemente adottato la decisione prima testualmente riportata, che va considerata al netto dell'errore materiale circa la data finale del computo: si deve infatti ritenere trattarsi del 23 maggio 1994 e non già del 23 maggio 1995 (come indicato in sentenza), data quest'ultima certamente errata perchè rende la decisione totalmente incomprensibile, riguardo alla relativa epoca di lettura del contatore (giugno 1994) e quindi ai fini dell'individuazione del dies a quo ex art. 2935 c.c.; la prima data (ossia, il 23 maggio 1994) trova invece intrinseca e logica coerenza con la data di interruzione della prescrizione quinquennale, avvenuta appunto - come accertato dalla Corte - il 24.5.2009. Così stando le cose, è di tutta evidenza che l'analisi del giudice d'appello doveva necessariamente arrestarsi, riguardo alla prescrizione, all'anno 1994, sicchè il passaggio della motivazione che la ricorrente invoca a dimostrazione del proprio assunto è scevro da criticità (eccezion fatta per il detto errore materiale, peraltro intuibile dalla stessa società con minima diligenza). Del resto, se il motivo d'appello in questione avesse effettivamente rivestito il contenuto riportato in ricorso, l'odierna ricorrente avrebbe dovuto opportunamente impugnare la relativa decisione, pur sempre per violazione dell'art. 112 c.p.c., ma per ragioni del tutto diverse (ossia, per il travisamento dell'oggetto del gravame) da quelle invece sollevate col motivo scrutinato.

2.1.3 - Contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, poi, la Corte del merito ha comunque esaminato le questioni nella loro globalità, a prescindere dall'errata affermazione del periodo contestato dalla stessa società: infatti, da un lato ha disatteso la domanda risarcitoria da danno emergente (fondando la decisione sul disposto degli artt. 5 e 44 del regolamento comunale), e dall'altro ha escluso il diritto al rimborso di somme pagate in eccedenza, preteso dalla odierna ricorrente, sul rilievo che tale domanda ineriva alla contestazione del malfunzionamento del contatore, ma limitatamente al profilo dell'assenza della valvola di sfiato, profilo che - a dire della stessa Corte - era rimasto sfornito di prova.

2.1.4 - In sostanza, la motivazione adottata dalia Corte sassarese - quanto al motivo in esame - "regge" pur a fronte dell'erronea ricognizione della materia del contendere operata dal giudice d'appello, il che vale anche riguardo alla problematica della mancata applicazione delle fonti regolatrici del contratto formatesi in epoca successiva al regolamento comunale del 1983: oltre a quanto già evidenziato riguardo al regolamento adottato nel 1998, deve osservarsi che la normativa di settore primaria e secondaria indicata dalla stessa ricorrente, come meglio si dirà infra, non incide in concreto sulle vicende contrattuali che occupano.

Il motivo è quindi rigettato.

3.1 - Passando all'esame del secondo motivo, esso in realtà - come già evidenziato, e anche a prescindere dalla notevole approssimazione con cui sono state indicate le norme di diritto che, in tesi, sarebbero state violate o falsamente applicate - consta di plurime censure.

Vanno anzitutto affrontate due questioni: a) quella della normativa speciale di riferimento, nonchè b) quella delle fonti, codicistiche e negoziali, regolatrici del rapporto.

Al riguardo, la Corte d'appello ha ritenuto la natura meramente programmatica e non precettiva della normativa speciale, la cui violazione non determina automaticamente il diritto al risarcimento del danno in capo al somministrato; ha poi rilevato che "in assenza di prova di ulteriori specifiche pattuizioni", il rapporto per cui è causa deve intendersi disciplinato dalle previsioni del regolamento comunale del 1983, il cui art. 34 prevede l'automatica estensione delle proprie previsioni a ciascun contratto di utenza; di conseguenza, ha affermato la correttezza della prima decisione, laddove era stato escluso qualsiasi diritto al risarcimento del danno in capo all'utente per il solo fatto che l'erogazione idrica subisse interruzioni o per la circostanza che la pressione non fosse sufficiente al raggiungimento dei piani più elevati, giacchè gli artt. 5 e 44 del detto regolamento espressamente esonerano il gestore del servizio da responsabilità al riguardo; nè tantomeno - ha proseguito la Corte - v'era necessità di sottoscrivere specificamente le relative clausole ex art. 1341 c.c., dal momento che esse devono intendersi conosciute ed approvate dall'utente all'atto della richiesta della fornitura, la cui disciplina è necessariamente integrata dalle disposizioni regolamentari, senza che vi fosse alcuna possibilità per l'utente di esprimere uno specifico dissenso su tali aspetti.

3.2.1 - Ora, partendo dalla prima questione, e limitando l'indagine al periodo che qui interessa (ossia, fino al 2000), si osserva che il Servizio idrico integrato (di seguito, SII), istituito con la L. n. 319 del 1976 (il cui art. 6, ne attribuì la gestione, tra l'altro, ai comuni o a consorzi intercomunali o a consorzi istituiti dalle regioni a statuto speciale), è stato oggetto di riorganizzazione per effetto della L. n. 36 del 1994 (c.d. legge Galli), che lo definisce (art. 4, comma 1, lett. f) come l'insieme "dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue", istituisce (art. 8) gli ambiti territoriali ottimali - nel cui perimetro devono essere garantiti i livelli minimi dei servizi, da individuarsi a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 4, comma 1) - prevedendo altresì (art. 8, comma 2) che le regioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, provvedono alla delimitazione degli ambiti stessi, e che (art. 9, comma 1) entro i successivi sei mesi, i comuni e le provincie che vi rientrano organizzano detto servizio al fine di garantire la gestione secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Con disposizione transitoria (art. 10, comma 1), si stabilisce poi che gli enti esercenti il servizio, esistenti alla data di entrata in vigore della legge stessa, continuano a gestire il servizio fino alla organizzazione del SII secondo le modalità di cui all'art. 9. Infine (art. 33), si stabilisce che le disposizioni della legge predetta costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost. (ovviamente, nel testo vigente ratione temporis, in relazione alla legislazione concorrente delle regioni a statuto ordinario nel sistema allora vigente), facendo salve le competenze spettanti alle regioni autonome ai sensi dei rispettivi statuti e delle norme di attuazione. In armonia con la c.d. Legge Galli, la Regione autonoma della Sardegna ha emanato la L.R. 17 ottobre 1997, n. 29, disciplinando l'istituzione, l'organizzazione e la gestione del SII, individuando (art. 3) l'ambito territoriale ottimale nell'intero territorio regionale e istituendo (art. 5) l'Autorità d'ambito (consorzio obbligatorio tra i comuni e le province della Sardegna), avente il compito di organizzare, entro sei mesi, il SII, ossia tra l'altro di scegliere le forme di gestione e di affidarla a soggetti esterni e di determinare, modulare e aggiornare le tariffe (art. 7, comma 2, lett. a, b ed f). Spetta inoltre all'Autorità d'ambito (art. 7, comma 3) il compito di esercitare l'attività di controllo sulla gestione del SII al fine di verificare il rispetto, da parte del gestore, dei livelli qualitativi minimi dei servizi che devono essere garantiti nell'ambito e del rispetto degli standard economici e tariffari stabiliti nella convenzione di gestione. L'art. 17 della detta L.R., ancora, stabilisce che fin quando l'Autorità non sarà in grado di sottoscrivere la convenzione di gestione e di determinare la tariffa del SII, la tariffa delle gestioni esistenti è determinata dagli enti locali ed applicata dai relativi gestori. Infine, l'art. 18 prevede che l'ESAF (Ente sardo acquedotti e fognature), in deroga, può continuare la gestione dei servizi idrici integrati purchè non oltre il 31.12.1998 e comunque non oltre l'organizzazione del SII. Come è agevole evincere dal rapido excursus che precede, la citata normativa di rango primario non ha affatto contenuto programmatico (o di principio), come invece ritenuto dalla Corte sarda, ma immediatamente precettivo.

Tuttavia, con riferimento alla fattispecie, la concreta operatività delle norme che disciplinano il SII - e con esse quei valori di gestione efficiente, efficace ed economica dello stesso servizio, fissati dalla L. n. 36 del 1994, art. 4 e ribaditi dalla L.R. n. 29 del 1997, art. 1, comma 2, lett. c - va con certezza esclusa in relazione al periodo oggetto della contestazione per cui è causa compreso tra il 1994 e il 1997, perchè per la Regione Sardegna (e quindi riguardo all'erogazione dell'acqua potabile nel Comune di Alghero) il SII è stato istituito solo con l'adozione della ripetuta L.R..

Inoltre, dall'esame della stessa normativa regionale emerge senza alcun dubbio che detto Servizio - istituito per legge - deve essere organizzato dall'Autorità d'ambito, consorzio obbligatorio tra comuni e province dell'Isola, che una volta costituito deve anche sottoscrivere la convenzione di gestione; fatti, questi (ossia, l'avvenuta costituzione dell'Autorità d'ambito e la sottoscrizione della convenzione col gestore), di cui non v'è traccia agli atti del giudizio e che invece la ricorrente (che per vero, neppure denuncia la violazione della citata legge regionale) avrebbe dovuto quantomeno allegare, sia nel giudizio di merito che in questa sede, quali accadimenti storici che condizionano l'applicabilità della normativa invocata (lato sensu) dalla stessa società.

Questa Corte, quindi, non è stata messa in grado di verificare in concreto l'operatività della detta normativa, anche per l'ulteriore periodo del rapporto di fornitura sub iudice (1998-2000), che deve intendersi all'evidenza regolato dalla disciplina transitoria cui s'è fatto prima cenno, e che sostanzialmente ha lasciato inalterato lo status quo ante, almeno fino all'effettivo avvio del SII. Ed è appena il caso di evidenziare che, già per tale ragione (e a prescindere dalla circostanza che la Regione Sardegna è ente ad autonomia differenziata), non può neppure valutarsi l'applicabilità della normativa secondaria pure richiamata dalla società ricorrente, ed in particolare del D.P.C.M. 29 aprile 1999 (adottato in attuazione della L. n. 273 del 1995, art. 2, di conversione del D.L. n. 163 del 1995), recante lo schema generale di riferimento per la predisposizione della Carta del servizio idrico integrato, Carta che pur "costituisce elemento integrativo dei contratti di fornitura", tanto che "tutte le condizioni più favorevoli nei confronti degli utenti contenute nelle carte dei servizi predisposte dai singoli gestori si intendono sostitutive di quelle riportate nei contratti di fornitura stessi". Infatti, è evidente che - quanto alla Regione Sardegna - l'inidonea formulazione della doglianza in esame non consente di verificare se, alla data di entrata di pubblicazione del predetto decreto, un gestore del SII vi fosse e se questo successivamente avesse adottato la Carta del servizio idrico (il che comunque, costituisce presupposto per l'eterointegrazione del contratto prima descritta, con la conseguenza che la data di adozione della stessa Carta avrebbe dovuto parimenti essere allegata dalla ricorrente).

La non risarcibilità del danno subito dalla società per l'inosservanza della detta normativa non discende, dunque, dal suo carattere meramente programmatico, come erroneamente e superficialmente affermato dalla Corte d'appello, ma dal fatto che lo stesso giudice del gravame non ha verificato l'applicabilità della ripetuta normativa, evidentemente anche (ma non solo) a causa delle stesse carenze di allegazione in cui pure in questa sede la società è incorsa, stante la mancanza di specificità della censura in parola, nei termini prima descritti.

Nè del resto il ricorso in esame e la stessa presente controversia offrono spunto per affrontare la questione della violazione del corpus di norme in questione su un piano più generale, ossia riguardo al profilo della loro immediata e indubbia precettività già per effetto della mera entrata in vigore. La censura stessa va quindi disattesa, sufficiente essendo la correzione della motivazione della sentenza impugnata nei termini che precedono, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., u.c..

3.2.2 - Può adesso affrontarsi la seconda questione, concernente l'individuazione delle fonti del rapporto per cui è causa.

Come già detto, la Corte sassarese ha ritenuto che, in assenza di prova di ogni altra pattuizione, il contratto inter partes non possa che essere disciplinato dal più volte citato regolamento del 24.5.1983. Ciò sul presupposto esplicito della previsione dell'art. 34 del detto regolamento, che automaticamente estende la relativa disciplina ad ogni contratto di utenza, nonchè sull'ulteriore presupposto del mancato assolvimento dell'onere della prova, da parte della società, circa un diverso e più specifico contenuto degli accordi negoziali, che consenta di individuare la sussistenza di quei diritti (alla continuità dell'erogazione, alla garanzia di adeguata pressione di mandata, ecc.), la cui lesione la società stessa invoca a sostegno della richiesta risarcitoria avanzata.

La Corte ha poi aggiunto che non occorre alcuna specifica approvazione delle clausole limitative della responsabilità dell'ente, ex art. 1341 c.c., comma 2, perchè esse devono intendersi note all'utente al momento dell'accettazione della fornitura, senza che vi sia possibilità alcuna di non accettarle o di negoziarle.

3.2.3 - Ora, costituisce jus receptum, nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il principio secondo cui il rapporto di fornitura di acqua potabile vada inquadrato nell'ambito del contratto di somministrazione di cose, ai sensi dell'art. 1559 c.c. (ex plurimis, Cass. n. 16426/2004, Cass. n. 382/2005, nonchè, da ultimo, Cass. n. 1549/2018). Non è quindi revocabile in dubbio - trattandosi di controversia attinente al pagamento del corrispettivo del servizio - che vengano qui in rilievo diritti soggettivi ed obblighi reciproci (in tal senso, si veda ex plurimis Cass., Sez. Un., n. 5613/1978). Nella specie, quindi, in relazione ai profili sollevati dalla società utente (e fatto salvo quanto si dirà infra, al par. 3.4.1) l'attività del Comune non attiene al munus publicum, ma viene esercitata iure privatorum, con la conseguenza che l'inadempimento, ove sussistente, obbliga il somministrante al risarcimento del danno (si vedano, in tema di somministrazione di energia elettrica, Cass., n. 9624/1997 e la più recente Cass., n. 25731/2015, nonchè, riguardo alla fornitura di acqua potabile, Cass., Sez. Un., n. 8103/2004).

3.2.4 - Secondo autorevole e ormai ricevuta ricostruzione dottrinale (che qui - avuto anche riguardo allo specifico ambito temporale dell'indagine che occupa - può richiamarsi nella sua portata eminentemente descrittiva), i rapporti tra l'ente erogante un servizio pubblico e l'utente possono inquadrarsi nella generale categoria dei c.d. contratti di utenza pubblica: essi si caratterizzano per essere il servizio - attinente a beni o utilità essenziali per gli utenti, come l'acqua potabile, il gas, l'energia elettrica, i servizi di telefonia - erogato da un soggetto che opera in regime di monopolio o di concorrenza, e per essere la relativa disciplina caratterizzata dalla intima commistione di elementi privatistici e pubblicistici, questi ultimi spesso dettati da atti di natura normativa o amministrativa, in considerazione delle esigenze strutturali, organizzative e programmatiche del soggetto gestore del servizio. Tale incidenza eteronormativa - rispetto all'aspetto più propriamente privatistico - si manifesta non solo nel momento a) genetico del contratto, ma anche in quello b) contenutistico ed in quello c) dinamico-esecutivo: nel primo, perchè le modalità costitutive del rapporto sono di regola specificamente eterodeterminate; nel secondo, perchè le esigenze pubblicistiche inerenti al servizio influenzano parte del contenuto precettivo del negozio; nel terzo, perchè le scelte operative e programmatiche del gestore possono comportare e giustificare una deviazione rispetto al normale regime della responsabilità per inadempimento (totale o parziale) derivante dal diritto comune.

3.2.5 - Dando per pacifico (in assenza di alcuna contestazione) che, nel caso che occupa, un valido contratto di utenza è stato concluso tra le parti, occorre quindi soffermarsi sugli aspetti sub b) e c).

Iniziando l'esame dal piano contenutistico e - lo si ribadisce - tenuto conto dell'ambito temporale di riferimento della presente controversia, la disciplina negoziale del contratto di somministrazione di acqua potabile è di regola integrata dalle previsioni di apposito regolamento comunale, adottato ai sensi del T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578, artt. 1 e 15, concernenti tra l'altro la gestione in economia del relativo servizio.

La disciplina così dettata enuclea, in definitiva, le condizioni generali di contratto che regolano il servizio di somministrazione di acqua potabile, unilateralmente predisposte dall'ente comunale e destinate a quei soggetti che richiedono la relativa prestazione. Gli articoli del regolamento, quindi, non vengono in evidenza nella loro connotazione normativa, bensì in quella negoziale, così caratterizzando il contratto per cui è causa (anche) come contratto per adesione, ex art. 1341 c.c., comma 1.

Tornando alla fattispecie, la stessa Corte sassarese, a ben vedere, con la sentenza qui impugnata, mostra di attribuire tale valenza agli articoli del più volte citato regolamento del 24.5.1983, laddove essa fa riferimento alla circostanza che le relative clausole devono intendersi note all'utente all'atto dell'accettazione della fornitura (rectius, all'atto della conclusione del contratto), così richiamando pressochè letteralmente il contenuto dello stesso art. 1341 c.c., comma 1.

La natura negoziale delle clausole riportate nel regolamento adottato dal Comune di Alghero il 24.5.1983, poi, è stata implicitamente ritenuta e affermata da numerosi precedenti di questa stessa Corte di legittimità. All'esito di numerose controversie concernenti la pretesa del Comune odierno controricorrente al pagamento del c.d. minimo garantito, la Suprema Corte - nonostante gli artt. 18 e 19 del citato regolamento prevedessero l'obbligo dell'utente di pagare il corrispettivo, avuto riguardo ad un consumo minimo predeterminato (200 mc annui) e a prescindere dalla circostanza che il consumo effettivo potesse risultare inferiore - ha affermato non porsi in contrasto nè con norme costituzionali, nè con norme comunitarie di rango superiore, nè infine con i principi informatori della materia, ex art. 113 c.p.c., comma 2 (nel testo risultante a seguito di Corte cost. n. 206/2004), la regola di equità, adottata in dette controversie dal giudice di pace, secondo cui "il fruitore del servizio di fornitura di acqua potabile, in tanto può essere tenuto a pagare al comune, erogatore del servizio, il corrispettivo per il cosiddetto minimo garantito o minimo impiegato o impegnato in quanto l'ente territoriale fornisca la prova scritta che il fruitore abbia accettato esplicitamente la clausola" (così, Cass. n. 10/2006; v. anche, amplius, la già citata Cass. n. 382/2005, nonchè le sentenze, di identico contenuto, nn. 742, 743, 744, 745, 746, 747, 748, 749 e 750 del 2005).

Pare evidente che subordinare l'efficacia di una regola (formalmente) regolamentare alla necessità che essa sia esplicitamente accettata per iscritto dall'utente all'atto della conclusione del contratto significa, in definitiva - ove non ci si muova nell'ottica della derogabilità/inderogabilità, questione che qui non si pone - da un lato negarle natura di norma giuridica, benchè secondaria, e dall'altro attribuirle natura negoziale: ad opinare diversamente, infatti, la regola di equità di cui s'è detto (secondo cui la clausola sul minimo garantito può applicarsi solo se approvata dall'utente) si porrebbe in contrasto, almeno, con il sistema delle fonti del diritto interno, sulla cui copertura costituzionale pare superfluo discettare, perchè la cogenza di una norma giuridica non può certo dipendere dalla mera volontà di una delle parti del contratto.

Già per tali considerazioni, dunque (ma v. intra, par. seguente), non può dubitarsi che il giudice ordinario, investito della controversia sul pagamento del corrispettivo del servizio, abbia il potere di verificare la vessatorietà o meno di clausole che determinino la limitazione della responsabilità per inadempimento del gestore o la escludano tout court, contrariamente a quanto invece ritenuto dalla Corte sarda, anche sotto il profilo di cui all'art. 1341 c.c., comma 2. Ribadito infatti che detta norma trova applicazione anche per i contratti della P.A. per le clausole da essa predisposte, contenute in condizioni generali di contratto (v. Cass. n. 1321/1996) e che il contratto per cui è causa si atteggia come un tipico contratto per adesione, con conseguente necessità della specifica approvazione per iscritto delle clausole che prevedano limitazioni di responsabilità, ai sensi della stessa norma (v. Cass. n. 15385/2000; Cass. n. 11757/2006), deve pure evidenziarsi che nella specie non v'è questione circa la possibilità di escludere la vessatorietà delle clausole stesse perchè contenute, o riprodotte, o richiamate nel contratto, secondo il disposto dell'ormai abrogato art. 1469 ter c.c., comma 3 (oggi, D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 34, comma 3), ma eventualmente applicabile ratione temporis: pur a prescindere dalla soluzione della controversa questione circa la portata della dizione "clausole che riproducono disposizioni di legge", discutendosi se essa vada intesa come comprensiva anche di disposizioni regolamentari, basti qui considerare che l'odierna ricorrente non può vestirsi della qualifica di consumatore, l'utenza in questione inerendo alla gestione di un hotel. La verifica della vessatorietà o meno delle clausole in parola passa quindi necessariamente attraverso la disciplina dettata dall'art. 1341 c.c., comma 2.

3.2.6 - Venendo ora all'aspetto dinamico-esecutivo, s'è già detto (v. par. 3.2.4) che le caratteristiche del servizio pubblico erogato, nei contratti di utenza, possono comportare e giustificare una restrizione della responsabilità del gestore per il caso di inadempimento. Sul punto, tenuto anche conto dell'ambito temporale dell'indagine, ben può richiamarsi la giurisprudenza costituzionale della fine del secolo scorso (si vedano, in particolare, le sentenze della Corte Cost., nn. 303/1988, 1104/1988, 74/1992, 456/1994, 463/1997, 4/1999), che, pur ribadendo la natura essenzialmente privatistica dei contratti di utenza, ha tuttavia ritenuto potersi giustificare la derogabilità della normativa di diritto comune in tema di responsabilità del gestore da parte della normativa speciale di settore, ove sussistano esigenze oggettive del servizio, tali da limitare ragionevolmente detta responsabilità, senza tuttavia vanificarla (così, in particolare, Corte cost., n. 463/1997, in tema di responsabilità del gestore del servizio postale).

E' evidente che la verifica della ragionevolezza in discorso, rispetto a clausole limitative della responsabilità del gestore riportate in condizioni generali di contratto, non può che essere demandata, in ultima istanza, al giudice: o mediante la proposizione della questione incidentale di legittimità costituzionale, ove esse siano contenute in leggi o atti aventi forza di legge; o mediante l'annullamento (da parte del giudice amministrativo), qualora esse siano contenute in un atto di natura regolamentare o amministrativa, e ciò in virtù della giurisdizione esclusiva di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), (che sostanzialmente riproduce il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, applicabile all'epoca dei fatti di causa, come risultante a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 204/2004), salva la possibilità della disapplicazione ex art. 5 L.A.C. da parte del giudice ordinario, ove ne ricorrano i presupposti (su cui si veda, in particolare, Cass., Sez. Un., n. 2244/2015, secondo cui tale potere non è esercitabile, tra l'altro, ove la P.A. che ha emesso l'atto da disapplicare sia parte in causa); o mediante la declaratoria di inefficacia, da parte del giudice ordinario, ove esse siano di matrice contrattuale, essendo unilateralmente predisposte, e non rispettino la normativa codicistica (o anche quella consumeristica, questione che esula dai confini di questo giudizio, come s'è detto). In tale ultima ipotesi, però, è stata evidenziata da attenta dottrina la problematicità dell'esercizio del potere di valutazione della vessatorietà delle clausole in questione, ove esse siano intrinsecamente collegate a profili di discrezionalità organizzatoria del gestore, anche se non si dubita della piena censurabilità, sotto il profilo in esame, della clausola di esonero tout court, ove essa non menzioni affatto la giustificazione delle esigenze di servizio, godendo in tal caso il giudice di un sindacato pieno (si veda, sul punto, tra le poche pronunce edite, Trib. Palermo, ord. 18.9.2000, in Danno e responsabilità, 2001, 177 e ss.).

3.2.7 - Tornando al caso che occupa, e facendo governo di quanto precede, deve ribadirsi che quanto ritenuto dalla Corte sassarese circa la sostanziale immanenza delle clausole contenute nel regolamento del 24.5.1983 sia errato: la questione della vessatorietà delle clausole di esonero di cui agli artt. 5 e 44 del detto regolamento poteva e doveva essere scrutinata dal giudice del merito, che avrebbe dovuto verificare - dopo aver effettuato una adeguata ricognizione del loro contenuto ed aver eventualmente accertato la detta vessatorietà - se esse fossero state approvate specificamente dalla società, ai sensi dell'art. 1341 c.c., comma 2.

Senonchè, l'odierna ricorrente, pur censurando aspramente detta statuizione, non ha ritenuto di dover riprodurre nel ricorso il contenuto di dette clausole, nè di dover opportunamente indicare dove e quando il relativo documento fosse stato versato in atti dal Comune di Alghero, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, limitandosi a bollare detto regolamento come appartenente "alla preistoria del diritto".

Così facendo, però, la società è incorsa nell'inammissibilità della censura in esame, perchè l'apprezzamento del contenuto degli articoli citati (nonchè dei corrispondenti articoli di cui al regolamento del 1998, a ben vedere totalmente obliterato dalla stessa società, oltre che dal giudice d'appello), assume carattere decisivo, sia pur - naturalmente - nell'ottica del giudizio di legittimità. In altre parole, stante la denunciata violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (in particolare, dell'art. 1341 c.c., comma 2) e a fronte di clausole che certamente esoneravano del tutto il Comune di Alghero dalla responsabilità per il caso di discontinuità dell'erogazione, nonchè di inadeguata pressione di mandata, come si evince dalla sentenza impugnata, la riproduzione in ricorso di dette clausole (o l'indicazione prescritta dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) deve ritenersi indispensabile affinchè questa Corte possa valutare in che modo il giudice del merito avrebbe dovuto formulare il giudizio di ragionevolezza che ha invece omesso, e quale contenuto esso avrebbe dovuto rivestire. Al fine di verificare se la denunciata violazione di legge sussista, quindi, occorre in questa sede valutare se in dette clausole, siano indicate specifiche esigenze organizzative del servizio, o specifiche cause (ad es., forza maggiore, diminuzione delle riserve idriche, ecc.) giustificative dell'esonero o anche della limitazione della responsabilità, e se queste siano astrattamente congruenti con l'esigenza di non vanificare del tutto la stessa responsabilità del gestore; oppure, in alternativa, occorre appurare se l'esonero da responsabilità sia previsto in termini assoluti e a prescindere da qualsiasi causa, non potendo dubitarsi, in tal caso, della vessatorietà della clausola, pur in presenza di esigenze pubblicistiche (v. supra, par. precedente). Del resto, e conclusivamente sul punto, che le clausole in discorso siano collegate a specifiche condizioni operative pare potersi evincere dalla narrativa della stessa sentenza d'appello (p. 4), laddove si dà atto del contenuto della decisione di primo grado, che aveva ritenuto la sostanziale equipollenza dei due regolamenti comunali del 1983 e del 1998, nonchè affermato l'esistenza di determinate "causali precisate nei citati regolamenti" quali cause dello stesso esonero.

Ancor più indispensabile, quindi, si palesa l'osservanza, nella specie, del disposto dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. La censura in esame è pertanto inammissibile.

3.3 - La statuizione che precede comporta l'assorbimento delle censure, anch'essa formulate nell'ambito del secondo motivo (e riportate ai par. 1.2.4 e 1.2.5), circa il mancato apprezzamento delle risultanze istruttorie (limitatamente alla questione dell'inadempimento contrattuale), nonchè la pretesa violazione dell'art. 1226 c.c., anche in relazione al danno emergente per l'acquisto di un impianto di raccolta e sollevamento delle acque. E' evidente, infatti, che l'infondatezza (lato sensu) dei motivi concernenti il preteso inadempimento dell'ente controricorrente finisce col travolgere ogni doglianza della società che sia fondata sulle relative pretese risarcitorie. Di dette censure non occorre quindi occuparsi.

3.4.1 - Vanno ora affrontati congiuntamente, stante la stretta connessione, i motivi riportati ai par. 1.2.3 e 1.2.4, in relazione ai profili inerenti al corrispettivo del servizio.

Riguardo all'onere della prova in subiecta materia, questa Corte ha condivisibilmente affermato che "In tema di contratto di somministrazione relativo a utenza idrica e nell'ipotesi in cui l'utente lamenti l'addebito di un consumo anomalo ed eccedente le sue ordinarie esigenze, una volta fornita dal somministrante la prova del regolare funzionamento degli impianti, è onere dell'utente provare di avere adottato ogni possibile cautela, ovvero di avere diligentemente vigilato affinchè intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del contatore" (Cass. n. 13193/2011). Detta pronuncia, seppure si fondi su un parallelismo storico rispetto all'approdo giurisprudenziale concernente il contratto di utenza telefonica, si pone sostanzialmente in linea con il già citato insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, sulla c.d. "vicinanza della prova".

Ciò chiarito, è dunque il gestore del servizio idrico, in caso di contestazione, a dover fornire in primo luogo la prova del corretto funzionamento dell'impianto, spostandosi poi detto onere - una volta assolto quello del gestore stesso - sull'utente, per i profili prima indicati. Lo stesso utente può quindi limitarsi, in prima battuta e ove lamenti un non corretto computo dei propri consumi, ad allegare il cattivo funzionamento dell'impianto, il che ha fatto la società ricorrente, nel momento in cui - sin dall'atto introduttivo - ha dedotto che l'impianto gestito dal Comune di Alghero e il sistema di misurazione non erano realizzati a norma di legge, sia per l'assenza di valvole di sfiato, sia per le numerose fessurazioni della rete idrica comunale, che comportavano consistenti perdite di acqua a valle dell'impianto, il cui costo veniva però ripartito pro quota tra tutti gli utenti (compresa essa società), sebbene essi non ne fruissero.

A tal ultimo proposito, la Corte territoriale ha ritenuto - anche qui errando - che siffatta modalità di gestione, che diverge dal principio di economicità, sia censurabile solo sotto il profilo della responsabilità "politica" dell'Amministrazione comunale, sicchè essa solo in tale sede avrebbe potuto trovare sanzione. Al contrario, sotto il profilo in parola, l'operato del gestore ben può essere soggetto al controllo giudiziario, ma nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v. par. 3.2.6), proprio per la sussistenza - specie riguardo alla questione un discorso, concernente una gestione del servizio pubblico non improntata al principio di economicità, efficienza ed efficacia - di una chiara compenetrazione di elementi privatistici e pubblicistici, il cui "giudice naturale" è oggi individuato dal già citato del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), (si veda, sul punto, la recente Cass. n. 22009/2017, attinente a controversia circa i danni derivanti da pretesa inadeguata organizzazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani).

Detta questione, riproposta dalla ricorrente anche in questa sede (v. in particolare p. 48 del ricorso), non può quindi essere ulteriormente affrontata, se non limitatamente alla concreta incidenza delle condizioni della rete idrica sul corrispettivo preteso dal Comune in relazione ai consumi specificamente addebitati all'utenza in questione, come si dirà.

3.4.2 - Coglie invece pienamente nel segno la società laddove lamenta l'erroneità della decisione impugnata riguardo alla misurazione dei consumi. La Corte sarda afferma in proposito (p. 10) che "non vi è alcuna certezza in ordine al fatto che il contatore... avesse registrato consumi mai avvenuti per il passaggio di aria.... (Sicchè) in assenza di prova certa di un malfunzionamento del contatore idrico (la società) è tenuta al pagamento integrale dei consumi registrati...".

Tale ultima affermazione, in particolare, denota l'inversione metodologica in cui è incorso il giudice di merito nell'applicazione dell'art. 2697 c.c., alla fattispecie, giacchè la frase "assenza di prova certa di un malfunzionamento del contatore idrico", letta a contrario, significa "assenza di prova certa di un corretto funzionamento del contatore idrico": il che - tenuto conto della ripartizione dell'onere probatorio nella materia che occupa e, quindi, dell'onere del somministrante di dimostrare il corretto funzionamento del contatore, in caso di contestazione dell'utente - equivale a dire che detto onere non è stato assolto dal Comune, ma è stato anzi illegittimamente addossato all'utente. Del resto, riguardo al principio della c.d. presunzione di buon funzionamento del contatore, di cui il giudice d'appello mostra di aver implicitamente tenuto conto, è stato recentemente e condivisibilmente ribadito che "in tema di contratti di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicchè, in caso di contestazione, grava sul somministrante l'onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l'eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un'attenta custodia dell'impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinchè eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi" (così, Cass. n. 23699/2016, nonchè Cass. n. 30290/2017).

Nè i termini della questione possono mutare in considerazione del tipo di azione proposta dalla società, in termini di accertamento negativo del credito (come pure pretenderebbe il Comune), giacchè è noto (v., ex plurimis, Cass. n. 16197/2012) che "In tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorchè sia convenuto in giudizio di accertamento negativo".

Il motivo in esame è quindi accolto in parte qua.

3.4.3 - Le restanti questioni sulla valutazione delle risultanze istruttorie (ossia, quelle relative alla determinazione del corrispettivo del servizio di cui al par. 1.2.4) restano conseguentemente assorbite, in quanto spetta al giudice del rinvio, una volta correttamente applicata la regola sul riparto dell'onere probatorio secondo i principi prima riportati, ponderare nuovamente dette risultanze (compresa la questione delle numerose fessurazioni della rete idrica, nel limitato senso chiarito al par. 3.4.1, in fine), se del caso anche ai fini della rideterminazione del corrispettivo del servizio. Le relative censure, quindi, non devono esaminarsi in questa sede, se non per escludere l'applicabilità dell'art. 1226 c.c., in relazione alla determinazione "del danno provocato dal pagamento di corrispettivi per la somministrazione idrica che non hanno alcuna coerenza nè che sono stati provati nel loro ammontare" (v. ricorso, p. 51), noto essendo che detta norma non può utilmente essere invocata per la determinazione del corrispettivo delle obbligazioni contrattuali (quale è, in definitiva, quella in discorso), ma solo per la liquidazione del danno in senso proprio, salvi i casi previsti dalla legge (v. in tal senso, Cass. n. 20688/2013).

4.1 - In definitiva, il primo motivo è rigettato, il secondo è accolto per quanto di ragione. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione, con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari, Sez. dist. di Sassari, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo motivo, accoglie il secondo per quanto di ragione, cassa in relazione e rinvia alla Corte d'appello di Cagliari, Sez. dist. di Sassari, in altra composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 15 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2018


Avv. Francesco Botta

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